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Acque reflue depurate per irrigare i campi: meno 30% di concime

L’uso delle acque reflue depurate potrebbe fornire una soluzione alla mancanza d’acqua per l’agricoltura e garantire un risparmio sui concimi, a dirlo è la sperimentazione di Enea, Gruppo Hera e Università di Bologna in Emilia Romagna.

È un perfetto esempio di economia circolare applicata all’agricoltura quello di utilizzare le acque reflue depurate come materia prima per irrigare i campi, con conseguente risparmio dei concimi sino al 30 per cento. È quanto avvenuto con un prototipo tecnologicamente avanzato in grado di depurare le acque reflue in modo da poterle poi riutilizzare per irrigare e fertilizzare i campi coltivati. La tecnologia è a firma dell’Università di Bologna, di ENEA, Gruppo Hera e Irritec ed è nata all’interno del progetto Value CE-IN, finanziato dalla Regione Emilia-Romagna e dal Fondo Sviluppo e Coesione e ha l’obiettivo di portare benefici in termini di maggiore disponibilità idrica, apporto di nutrienti, riduzione dei concimi chimici, sostenibilità ambientale e qualità della filiera depurativa.

La sperimentazione, durata circa un biennio, è andata in scena a Cesena dove è stato realizzato un prototipo presso un impianto di depurazione per il monitoraggio e il controllo in continuo della qualità degli effluenti secondari e terziari. L’acqua depurata è stata testata su un campo sperimentale con 120 colture di cui 66 piante di pesco e 54 di pomodoro da industria: i dati raccolti a valle della fase sperimentale hanno confermato la qualità delle acque depurate a fini agricoli.

“La ricerca condotta ha evidenziato l’elevato potenziale del riuso a scopo fertirriguo delle acque reflue depurate, sia in termini quantitativi sia nutritivi, sfruttando tecnologie e materiali smart che consentono la gestione dell’irrigazione e della fertilizzazione di precisione”, spiega Attilio Toscano, professore di idraulica agraria e coordinatore delle attività sperimentali condotte dal Centro Interdipartimentale di Ricerca Industriale Fonti Rinnovabili, Ambiente, Mare ed Energia dell’Università di Bologna: “Inoltre, la verifica degli effetti del riutilizzo diretto degli effluenti secondari e terziari sul sistema suolo-pianta ha mostrato, negli studi fin qui condotti, la sicurezza e la sostenibilità di tale pratica”, aggiunge Toscano.

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La tecnologia innovativa del prototipo si basa su una centralina di controllo e di automazione smart che gestisce e ottimizza il riuso delle acque trattate in funzione delle relative caratteristiche qualitative e delle esigenze idriche e nutrizionali delle singole colture in campo. Ad esempio, alcuni segnali acquisiti dalla centralina riguardano i parametri di qualità delle acque a valle dei trattamenti secondari e in uscita dall’impianto che vengono generati rispettivamente da un sistema di monitoraggio online e real time.

“I risultati ottenuti nell’ambito del progetto potrebbero supportare l’applicazione dello schema prototipale a tutti gli impianti di depurazione e la diffusione di pratiche di riuso a vantaggio di tutti gli stakeholder di filiera – dai gestori d’impianto ai consorzi di bonifica fino al settore dell’automazione, controllo e misurazione – con l’obiettivo di garantire una fonte idrica non convenzionale e sicura e fornire al contempo un apporto di elementi nutrienti alle colture, in linea con i nuovi indirizzi comunitari in vigore dal 2023”, sottolinea il coordinatore del progetto Luigi Petta, responsabile del Laboratorio ENEA di Tecnologie per l’uso e gestione efficiente di acqua e reflui.

Una tecnologia che contribuirebbe a risolvere la problematica della mancanza d’acqua per l’agricoltura considerando che la risorsa idrica depurata sarebbe utile anche per la concimazione perché a differenza dell’acqua di rete, contengono già alcune sostanze nutritive necessarie per la crescita delle piante, con un risparmio del 32% di azoto e dell’8% di fosforo, ad esempio, nella coltivazione dei peschi.

Il 70% del #FabbisognoIdrico del #SettoreAgricolo dell’#EmiliaRomagna potrebbe essere ottenuto da processi di #depurazione delle #acque. Condividi il Tweet

Secondo lo studio, il 70% del fabbisogno idrico del settore agricolo dell’Emilia-Romagna potrebbe essere ottenuto da processi di depurazione delle acque. Spostandoci a livello nazionale, i prelievi pro capite di acqua dolce per uso agricolo rappresentano circa il 50% del fabbisogno idrico totale, un dato elevato a cui vanno aggiunti i frequenti fenomeni di carenza idrica causati dai cambiamenti climatici che mettono a rischio oltre un terzo della produzione agricola nazionale, con danni alla quantità ed alla qualità dei raccolti, stimabili in circa un miliardo di euro all’anno.

Quanto emerso da questa sperimentazione, seppure da confermare con ulteriori applicazioni, fa ben sperare sulla fattibilità di pratiche di economia circolare e simbiosi industriale capaci di favorire la conversione degli impianti di depurazione in bioraffinerie da cui recuperare la risorsa idrica primaria, prodotti secondari ad elevato valore aggiunto, come ammendanti e fertilizzanti ricchi di nutrienti, tra cui azoto, fosforo e potassio, e ridurre così il ricorso a concimi chimici di sintesi.

Giornalista ed eco blogger, da sempre si occupa di temi legati alla sostenibilità ambientale e al food. Scrive per testate giornalistiche sia cartacee sia online e per blog aziendali. È laureata in Sociologia, con indirizzo Territorio e ambiente, all'università La Sapienza di Roma.