TOP

Overshoot day: buone pratiche agricole e alimentari per ridurlo

L’Earth Overshoot day segna il giorno in cui l’umanità finisce le risorse messe a disposizione annualmente dalla natura e inizia a indebitarsi con il futuro. Per il 2022 la data infausta è quella del 28 luglio, il che significa che viviamo come se avessimo a disposizione 1,75 Terre.

Il Global Footprint Network, ovvero il centro di studi internazionale che calcola l’impronta ecologica dell’uomo e i dati sugli Overshoot day, da anni lavora per sollecitare l’adozione di buone pratiche in tutti i settori in grado di invertire una strada che ad oggi sembrerebbe a senso unico verso il collasso del Pianeta. Come sottolineato dall’istituto, se si riuscisse a invertire il trend di 6 giorni all’anno, entro il 2050 l’umanità potrebbe tornare a vivere in equilibrio con la Terra.

Dagli studi portati avanti si riesce, non solo a stabilire il giorno esatto in cui l’umanità inizia ad operare in debito ecologico, ma anche a quantificare di quanto si sposterebbero in là le lancette dell’orologio che scandisce il sovrasfruttamento qualora la nostra specie adottasse questi comportamenti virtuosi.

 Come recuperare i 136 giorni mancanti per il pareggio tra risorse e consumi?

Siamo andati a spulciare – tra quelli già disponibili – alcuni consigli e best practice che è interessante porre in evidenza. Emerge da questo elenco come ad esempio le buone pratiche agricole siano salutari per il Pianeta mentre tra le prime grandi urgenze vi siano quelle legate alla decarbonizzazione, all’elettrificazione, all’investimento in efficienza energetica e rinnovabili.

Se a livello globale l’agricoltura (dati FAO) incide per il 14,5% sulle emissioni di gas serra, l’Italia è oggi un esempio virtuoso dimezzando questi dati (con l’allevamento nostrano che incide solamente per il 5% del totale). Su scala mondiale, ad avere un elevato peso ambientale sono i combustibili fossili, da cui dipende spesso la produzione di alimenti, legata anche alle distanze degli approvvigionamenti o per raggiungere i consumatori.

A livello europeo, per ridurre l’impatto di ciò che portiamo in tavola l’Ue ha elaborato la strategia From Farm to Fork con l’obiettivo di affermare nel continente un sistema alimentare resiliente, equo e sano. L’Italia – esempio di agricoltura e allevamenti sostenibili – può dare in questo senso un importante contributo.  Non solo a livello di sostenibilità delle produzioni agro-zootecniche, ma anche di cultura e stili di vita. La nostra dieta mediterranea, infatti, si adatta perfettamente ad essere di supporto nell’invertire il trend dell’Overshoot day.

Il prediligere cibi locali, poi, non solo consente di rafforzare le economie territoriali, ma vuol dire tagliare l’impronta ambientale legata ai trasporti che rappresentano – si riporta nei dati del portale – circa l’11% delle emissioni di carbonio associate alla produzione alimentare! Quindi è fondamentale promuovere diete che prevedano il consumo di ingredienti e cibi – come carne, pesce, frutta, verdura e prodotti derivati – locali, meglio ancora se al contempo premiando produttori sostenibili.

Dimezzare gli sprechi alimentari sposterebbe di 13 giorni l’Overshoot day

Se dimezzassimo gli sprechi alimentari in tutto il mondo, sposteremmo l’Overshoot Day di ben 13 giorni. A sollevare il problema in maniera seria e globale, nel 2011 fu la FAO, secondo la quale i dati in quell’anno evidenziarono che si arrivò a buttare circa un terzo del cibo mondiale. Da allora la percezione del problema è andata crescendo e anche l’adozione di alcune misure che però sono ancora lontane dall’essere risolutive.

Del dimezzamento degli sprechi si parla anche negli obiettivi di sviluppo sostenibile 2030, che al punto 12,3 prevede espressamente come goal di tagliare lo spreco alimentare globale pro capite a livello di vendita al dettaglio e di consumo entro il 2030, nonché di ridurre le perdite alimentari lungo le catene di produzione e di approvvigionamento.

Investire nelle rinnovabili e nell’efficienza energetica per ridurre ulteriormente anche l’impatto del settore agricolo

Focali rimangono però, anche per il settore agroalimentare, gli interventi per incentivare le rinnovabili, il disinvestire nelle fonti fossili e puntare sull’elettrificazione. Se si passasse dall’attuale 39% al 75% di produzione elettrica rinnovabile su scala mondiale, si sposterebbe l’Earth Overshoot Day di ben 26 giorni.

Nonostante la crescita nel mondo di fondi low carbon e il progressivo calo dei costi, il fabbisogno energetico mondiale non accenna a decrescere. Anzi! Un recente rapporto di REN21, la coalizione globale per le energie rinnovabili con sede a Parigi, ha documentato che “la quota di combustibili fossili nel consumo finale di energia è rimasta la stessa [dal 2009] e la domanda globale di energia è aumentata di circa il 20%. L’energia rinnovabile soddisfa poco più dell’11% della domanda finale globale di energia, solo un leggero aumento rispetto a circa il 9% di dieci anni fa”.

Come sottolineato dalla Fondazione, “abbiamo bisogno di questa rivoluzione se vogliamo evitare il peggio del cambiamento climatico”.

L’importanza dei silvopascoli e dei pascoli per il territorio

Nella documentazione legata agli esempi virtuosi si riporta anche il ruolo dei silvopascoli e degli allevatori custodi del territorio raccontando storie di chi attraverso i pascoli al contempo gestisca ecosistemi locali ma anche patrimoni culturali tradizionali temi sui quali abbiamo realizzato approfondimenti come quello dedicato agli allevatori e agricoltori custodi di territori, che proprio in Italia hanno una funzione fondamentale per la conservazione di diverse aree, in particolar modo quelle interne ed appenniniche.

In base agli scenari calcolati da Project Drawdown, l’adozione del pascolo gestito sposterebbe la data dell’Earth Overshoot Day di 2,2 giorni entro il 2050 avendo un ruolo importante nel mantenimento della ricchezza di carbonio dei suoli delle praterie.

In merito specificamente ai silvopascoli – un’antica forma di agroforestazione, utilizzata fin dall’antichità, che riunisce alberi, bestiame e foraggi in un unico sistema- come sottolineato dalle pagine del GFN, “l’integrazione di alberi e pascoli per il bestiame favorisce il miglioramento della salute e della produttività sia del bestiame che della terra”.

I ricercatori stimano che questa forma di agroforestazione sia attualmente praticata su 550 milioni di ettari a livello globale, su una stima di 820 milioni di ettari teoricamente idonei a questa tecnica. I vantaggi registrati sono sia per gli alberi – che possono così beneficiare di fertilizzanti e potature naturali – che per gli animali che godono di una maggiore diversità nella loro dieta e beneficiano di temperature più miti. L’ombra infatti riduce lo stress termico degli animali in modo che producano meno metano, mentre la vegetazione diversificata – si legge nella documentazione – migliora la loro dieta e produttività.

Oltre ai benefici finanziari diretti, – riporta la documentazione – il silvopascolo può anche aumentare la diversità della fauna selvatica, migliorare la qualità dell’acqua, proteggere dall’erosione, migliorare la salute del suolo, prevenire gli incendi boschivi e persino creare paesaggi esteticamente più gradevoli.

Content Manager e storyteller 2.0. Fa parte del network di Eco Connection Media. Redattrice per il webmagazine Economia Circolare. Scrive anche su e-cology.it. Si occupa di strategie di comunicazione web, gestione social, consulenza 2.0 e redazione news e testi SEO. Per Green Factor, all’interno dell’ufficio stampa, si occupa delle relazioni istituzionali.