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Metano: allevamenti sempre più sostenibili

In Italia le emissioni, a partire da quelle di metano, si sono ridotte in media del 10% in soli tre anni. Merito della migliorata dieta degli animali, della cura per il benessere animale e di un’ottimale gestione dei reflui.

Il nome 3-nitroossipropanolo è di quelli che piacciono a chi si intende di chimica e molecole. Da poco tempo è diventato famoso fra gli allevatori di bovini per la sua capacità di limitare le emissioni di metano.

Gli studi condotti su migliaia di animali dimostrano che può ridurre dell’80% la produzione di metano emesso dai bovini da carne. “Funziona” anche con le vacche da latte, seppure in modo meno efficiente. A proposito di metano e di impatto ambientale degli allevamenti, va tuttavia precisato il ruolo marginale delle attività zootecniche nella produzione di gas climalteranti (il metano è fra questi). Secondo la FAO le emissioni dell’agricoltura si fermano al 14,5% del totale delle attività antropiche.

Va assai meglio in Italia, dove la diffusione della zootecnia intensiva (e se la chiamassimo semplicemente professionale, o di precisione? E invece di allevamenti intensivi parlassimo finalmente di allevamenti protetti?) riduce queste emissioni a poco più del 5%. Non lo dicono gli allevatori, che sono parte in causa, ma l’ISPRA, l’Istituto superiore di protezione e ricerca ambientale.

Come mai questo risultato, c’è da chiedersi? Prima ancora che EFSA, l’Ente europeo per la sicurezza alimentare, desse il suo parere positivo sul 3-nitroosipropanolo, gli allevamenti si erano già dati da fare per ridurre il loro impatto ambientale. Non solo per il bene dell’ambiente, ma anche per migliorare le performance produttive.

In Italia la diffusione dei cosiddetti #AllevamentiIntensivi ha ridotto le #emissioni di #metano a poco più del 5%. A rivelarlo sono i dati di #ISPRA, l’Istituto superiore di protezione e ricerca ambientale. Condividi il Tweet

Lo dicono le indagini del CREA (Consiglio per la ricerca agricola e l’analisi dell’economia agricola) che con il progetto Life Beef Carbon hanno verificato come in Italia le emissioni si siano ridotte in soli tre anni del 10% in media. Merito del miglioramento della dieta degli animali, della cura per il benessere animale e di un’ottimale gestione dei reflui, destinati a fertilizzazione e produzione di energie rinnovabili. Un impegno che ha come obiettivo il bene dell’ambiente, ma anche il miglioramento delle performance produttive.

Come le due cose siano correlate è presto detto. Il metano deriva dalla fermentazione della fibra alimentare introdotta con l’alimentazione, “energia” che viene “sprecata” in emissioni anziché essere utilizzata per produrre carne o latte. Detta così farà inorridire fisiologi e nutrizionisti, ma è una semplificazione utile a spiegare il concetto.

Migliorando allora la digeribilità degli alimenti (utilizzando ad esempio più cereali, come accade per i bovini all’ingrasso), solo una piccola parte dell’energia presente nella dieta si “perde” nella formazione di metano. Risultato analogo si ottiene quando i cereali sono sostituiti da foraggi freschi (hanno più zuccheri solubili) e mille altre sono le soluzioni che esperti in alimentazione animale hanno via via messo a punto per migliorare le performance produttive, riducendo al contempo la produzione di gas metano.

Stessa cosa si può dire per il protossido di azoto, che origina dai prodotti del metabolismo animale. La sua presenza è uno “spreco” e deriva dall’inefficienza nella trasformazione delle proteine presenti nella dieta.

Puntando a una maggiore efficienza, gli allevamenti professionali hanno così ottenuto un duplice vantaggio: migliorare le performance dei loro animali (e contestualmente il loro benessere), riducendo al contempo l’emissione in termini assoluti di gas climalteranti. Ma non è questo il “metro” giusto per misurare l’impatto ambientale degli allevamenti. Il conto, per essere corretto, va fatto prendendo come unità di misura la quantità di CO2 emessa per ogni unità di prodotto ottenuto, nel nostro caso la carne.

Le #emissioni inquinanti attribuibili al sistema #avicolo, certo fra i più rappresentativi di un modello di #allevamento professionale, si ferma ad appena lo 0,2%. Condividi il Tweet

Va da sé che un allevamento intensivo professionale (o di precisione) riesce ad ottenere da ogni animale un quantitativo di carne superiore a quello realizzato dallo stesso animale di un allevamento estensivo. Difficile spiegarlo, ma alla fine l’impatto ambientale di un allevamento al pascolo può essere superiore a quello di un efficiente allevamento in stalla.

Se poi si utilizzano alcune delle sostanze che riducono la metanogenesi, i risultati possono essere ancora più importanti. Perché non c’è solo il 3-nitroossipropanolo (che pure è promettente), ma anche altre soluzioni già collaudate. Fra queste alcune alghe, poi vaccini che inducono la produzione di anticorpi che limitano la proliferazione dei microrganismi metanigeni  e, come già detto, un’alimentazione di precisione.

Sin qui si è parlato della carne bovina, perché le altre carni, quella suina e quella avicola, hanno meno responsabilità sul piano delle emissioni dirette. Le emissioni attribuibili al sistema avicolo, certo fra i più rappresentativi di un modello di allevamento professionale, si ferma ad appena lo 0,2%. Praticamente nulla. Per i suini si va poco oltre.

Se i risultati ottenuti sin qui sono eccellenti, è in parte merito dell’impegno degli allevatori e della ricerca, che ha messo a punto gli strumenti necessari e ha dato le indicazioni per una zootecnia sempre più di “precisione”. Riducendo le emissioni, ma migliorando al contempo le performance, all’insegna di una sostenibilità ambientale che si abbina idealmente a una sostenibilità economica e sociale.

Migliorare ancora si può. Con quale velocità lo deciderà il mercato, premiando quelle produzioni che saranno capaci di “raccontare” al consumatore il loro reale (e modesto) impatto ambientale.

Giornalista professionista, laureato in medicina veterinaria, già direttore responsabile di riviste dedicate alla zootecnia e redattore capo di periodici del settore agricolo, ha ricoperto incarichi di coordinamento in imprese editoriali. Autore di libri sull'allevamento degli animali, è impegnato nella divulgazione di temi tecnici, politici ed economici di interesse per il settore zootecnico.