TOP

Non fa male la carne, ma come la cuociamo

La disinformazione sui presunti effetti negativi della carne sulla salute circolano in continuazione. Generalmente ignorando un fatto: il problema non è la carne, cibo “naturale” per eccellenza, ma da cosa viene accompagnata e, soprattutto, come viene cotta.

In anni recenti si è diffusa tra i consumatori, i media e persino una parte dei professionisti sanitari la convinzione che una decisa riduzione della carne rossa nella dieta, quando non addirittura la sua totale eliminazione, rappresenti una scelta opportuna per star bene e prevenire le malattie cronico-degenerative, con particolare riferimento innanzitutto al cancro.

È singolare, se si pensa che la carne è un cibo estremamente nutriente, a cui l’uomo è ricorso lungo la sua intera storia evolutiva, analogamente a quanto hanno fatto i suoi progenitori più diretti, e che, fino a un passato anche relativamente recente, la possibilità di consumare con una certa regolarità questo alimento denotava acquisito benessere e più elevato status sociale.

Alcune evidenze scientifiche e pronunce di istituzioni sanitarie hanno in effetti messo in risalto i possibili rischi per la salute dovuti a consumi eccessivi di carne rossa. L’eco che queste notizie hanno avuto sui mezzi di comunicazione è stata vasta, ma una divulgazione di massa non sempre rigorosa né corretta sotto il profilo della scientificità, e verosimilmente anche il bisogno di sensazionalismo, sembrano aver reso più ostica, anziché aver facilitato, la piena comprensione di tali evidenze nella loro interezza e complessità, incoraggiando implicitamente nella popolazione comportamenti alimentari dettati forse più dall’emotività che dalla giusta interpretazione di certe risultanze.

La #carne è un #cibo estremamente nutriente, a cui l'uomo è ricorso lungo la sua intera #StoriaEvolutiva. Condividi il Tweet

Tra i documenti più importanti in tal senso va menzionata la posizione dello IARC, l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS/WHO), che negli ultimi mesi del 2015 ha diffuso un documento, che ha suscitato allarme e scalpore, con cui veniva data notizia che la carne rossa era stata inserita nell’elenco delle sostanze probabilmente cancerogene per l’uomo, per una sospetta associazione tra il suo consumo e l’aumento del rischio di carcinoma del colon-retto.

Tralasciando il fatto che il rischio potrebbe essere tale solo per quantitativi decisamente significativi (lo stesso IARC ritiene sicuro un limite di consumo settimanale di carne rossa pari a 500 grammi di peso cotto, equivalenti a 700-750 grammi di peso crudo), molti degli studi epidemiologici e delle ricerche presi in esame per stilare il documento dello IARC, così come altri condotti in seguito, non pervengono affatto alla conclusione che ci sia un legame tra consumo di carne rossa e incremento del rischio oncologico.

Tra le varie possibili spiegazioni di questa difformità di dati, una, di primaria rilevanza, riguarda le modalità e i tempi di cottura della carne, a causa delle quali possono formarsi composti mutageni. Questo evento si verifica in particolare alle alte temperature, che promuovono la produzione di ammine eterocicliche (HCA, acronimo del loro nome in lingua inglese) e di idrocarburi policiclici aromatici (IPA).

La #IARC ritiene sicuro un limite di consumo settimanale di #CarneRossa pari a 500 grammi di peso cotto, equivalenti a 700-750 grammi di peso crudo. Condividi il Tweet

Gli idrocarburi policiclici aromatici si sviluppano quando la carne viene cotta al barbecue, alla griglia e con analoghe modalità di preparazione, nelle quali vengono combuste sostanze organiche come legno, carbone e persino grassi alimentari di gocciolamento, da cui poi gli IPA si trasferiscono nel fumo e, tramite questo vettore, vanno a depositarsi sulla superficie delle carni.

Le ammine eterocicliche invece si formano in cibi proteici quali la carne da precursori in essi naturalmente contenuti, quali creatina, amminoacidi e zuccheri, quando tali alimenti sono sottoposti a temperature eccessivamente elevate e/o cotture prolungate, come accade durante la frittura e la cottura alla griglia.

A causa delle sostanze nocive che possono produrre, i metodi di cottura sembrerebbero uno dei parametri più importanti da controllare per consumare carne in modo pienamente sano, traendo i numerosi benefici offerti da questa risorsa alimentare senza i rischi.

I metodi di #cottura sono uno dei parametri più importanti da controllare per consumare #carne in modo pienamente sano. Condividi il Tweet

Dovrebbe essere data la preferenza alle tecniche di cottura più delicate, come la cottura al vapore, la stufatura, la bollitura. Limitare a rare occasioni le modalità di cottura più “aggressive” (temperature superiori a 150-180 ◦C, tempi prolungati, esposizione diretta della carne alla fiamma), come il barbecue e la frittura, riduce in maniera significativa l’apporto nella dieta di molecole ad attività potenzialmente oncogenica.

Allo scopo di abbreviare i tempi di cottura sulla griglia, è indicata la precottura nel forno, tradizionale o a microonde. Durante il barbecue o analoghe modalità di cottura, andrebbero puliti immediatamente i gocciolamenti di grasso e la carne dovrebbe essere girata frequentemente per evitare che si bruci. Le parti eventualmente carbonizzate andrebbero asportate. Il rischio di carbonizzazione della carne può essere limitato cuocendola avvolta in fogli di alluminio. Cuocere la carne con pomodori, carote o altri ortaggi ricchi in carotenoidi e vitamine antiossidanti può inoltre essere utile per ridurre i livelli di sostanze critiche.

Infine, marinare la carne prima di sottoporla a cottura – utilizzando aglio, curcuma, rosmarino e altre erbe e spezie, vino, succo di limone, olio extravergine di oliva, nonché salsa giapponese teriyaki – può contrastare efficacemente la formazione di composti nocivi, quali le ammine eterocicliche.

 

Bibliografia

  • Knize, M.G., e Felton, J.S., «Formation and human risk of carcinogenic heterocyclic amines formed from natural precursors in meat», Nutrition Reviews, vol. 63, n. 5 (maggio 2005), pp. 158-165.
  • Larsen, C.S., «Animal source foods and human health during evolution», Journal of Nutrition, vol. 133, n. 11, suppl. 2 (novembre 2003), pp. 3893S-97S.
  • Lee, J.G. et al., «Effects of grilling procedures on levels of polycyclic aromatic hydrocarbons in grilled meats», Food Chemistry, vol. 199 (maggio 2016), pp. 632-638.
  • Sanz Alaejos, M., e Afonso, A.M., «Factors That Affect the Content of Heterocyclic Aromatic Amines in Foods», Comprehensive Reviews in Food Science and Food Safety, vol. 10 (2011), pp. 52-108.
  • Viegas O. et al., «Inhibitory effect of antioxidant-rich marinades on the formation of heterocyclic aromatic amines in pan-fried beef», Journal of Agricultural and Food Chemistry, vol. 60, n. 24 (giugno 2012), pp. 6235-6240.
  • WHO-IARC, IARC Monographs evaluate consumption of red meat and processed meat, press release n. 240, Lione 26 ottobre 2015.

 

Biologo, specialista in Scienza dell'Alimentazione, dottore magistrale in Scienze della Nutrizione Umana, dottore magistrale in Scienze Naturali, Master universitario in Naturopatia, svolge la professione di nutrizionista presso La Clinica del Cibo di Milano. Le affianca un'intensa attività di divulgazione sui temi dell'alimentazione e della salute naturale su TV, radio, giornali e siti web. È inoltre docente di corsi di formazione per medici, nutrizionisti e altro personale sanitario e consulente di aziende produttrici di integratori alimentari e nutraceutici. È membro dell'Unità Operativa sul Microbiota (Human Microbiome Unit) della SIBS (Società Italiana di Biologia Sperimentale). Ulteriori informazioni qui