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Salumi, quel che l’etichetta non dice

Non basta la provenienza della carne. Salumi e insaccati sono il risultato di un insieme di sapienza e cultura nel trasformare una materia prima sempre e comunque sana e sicura. Un percorso che meriterebbe di essere meglio conosciuto.

L’esempio è quello di latticini e formaggi, dove l’etichetta riporta l’origine della materia prima: il latte. Ora è il turno di salumi e insaccati, che a loro volta dovranno dichiarare la provenienza del principale ingrediente: la carne suina. Se ne parlava da tempo e l’Italia ha ottenuto il via libera da Bruxelles, seppure con scarso “entusiasmo” da parte delle autorità comunitarie.

Piuttosto che esprimersi in modo inequivocabile, hanno preferito affidare la risposta alla regola del “silenzio-assenso”. Così, passati tre mesi dalla richiesta italiana senza che da Bruxelles arrivasse una risposta, i responsabili dei dicastero agricolo, dell’economia e della salute, hanno potuto apporre la loro firma al decreto interministeriale che dà il via alle nuove etichette. Non senza qualche distinguo e qualche perplessità.

#Salumi e #insaccati dovranno dichiarare la provenienza del principale ingrediente: la #CarneSuina. Ma questo non basta. Si tratta di un insieme di #sapienza e #cultura nel trasformare una materia prima sana e sicura. Condividi il Tweet

Va infatti ricordato che si tratta di una norma “sperimentale”, destinata a perdere efficacia il 31 dicembre del 2021. Giusto in tempo per le etichette “a semaforo”, quelle che sembrano fatte apposta per mettere fuori gioco alcune delle nostre eccellenze agroalimentari. Ma questo è un altro argomento, del quale già si è parlato su Carni Sostenibili.

Vediamo invece cosa cambierà per i nostri salumi. Se prima valeva la regola che a stabilire l’origine di un prodotto fosse il luogo dove avveniva la sua trasformazione, ora un salume potrà dirsi italiano al 100% solo quando la carne utilizzata è di suini nati e allevati in Italia fino alla macellazione. Qualora questa condizione non sia rispettata, l’etichetta non potrà rivendicare l’italianità del prodotto, ma solo riportare la provenienza della carne, europea qualora sia di uno dei 27 paesi della Ue, o extra-Ue negli altri casi. Regola dalla quale sono esclusi i prodotti importati, ai quali il decreto italiano non può essere applicato. Esentati, ma per altri motivi, i salumi che possono fregiarsi di una denominazione di origine, come DOP o IGP. La loro italianità, infatti, è già assicurata dal marchio di origine.

Due gli obiettivi che le nuove regole vorrebbero perseguire. Assolvere la richiesta di trasparenza sull’origine dei prodotti alimentari, fortemente richiesta dai consumatori, come molti sondaggi confermano. Poi favorire una ripresa del mercato delle carni suine, reduce da una profonda crisi. Finalità importanti, ma non prive di effetti secondari dei quali tenere conto, a iniziare dalla scarsa disponibilità di carne suina italiana, insufficiente a coprire il fabbisogno interno. Con il conseguente rischio di penalizzare senza motivo ciò che non può dichiararsi “cento per cento italiano”.

È allora opportuno ricordare che su ogni carne utilizzata, non importa di quale provenienza, vigila un severo servizio sanitario che ne assicura e garantisce la assoluta salubrità e sicurezza. Differenze, ma non sempre, si possono semmai cercare solo sul fronte delle caratteristiche organolettiche. Infine, il fronte dei costi. Le industrie di trasformazione non hanno mancato di evidenziare che la maggiore trasparenza delle etichette comporta un aggravio dei costi, che poi si riflette sul prezzo finale.

L’italianità del #cibo ha un forte appeal e il trend dei #cibi #DOP (come pure dei #vini DOCG) non accenna a rallentare, segnando ulteriori incrementi nelle #vendite. Condividi il Tweet#

Ma il consumatore è poi così attento alle etichette? Sembra di sì, stando alle rilevazioni dell’Osservatorio Immagino che ha calcolato il valore del made in Italy sugli scaffali della grande distribuzione (GDO). A quanto pare l’italianità del cibo ha un forte appeal e il trend dei cibi DOP (come pure dei vini DOCG) non accenna a rallentare, segnando ulteriori incrementi nelle vendite. Nella sola GDO, il valore del cibo made in Italy ha raggiunto i 7,4 miliardi di euro, pur rappresentando una netta minoranza del “paniere” di acquisti, cosa che lascia aperti ampi spazi per ulteriori crescite.

Sarebbe bello immaginare un percorso di #EducazioneAlimentare capace di raccontare l’Italia attraverso il #sapore di #salumi e #insaccati. Condividi il Tweet

In questa “corrente” di preferenze verso l’italianità dei cibi si inseriscono ora insaccati e salumi con le loro nuove etichette. Novità che avrebbe bisogno di essere accompagnata da una campagna di informazione che, in modo equilibrato, illustri come l’origine della materia prima sia importante, ma non meno del luogo e della sapienza di chi quella carne la trasforma. Bello sarebbe immaginare un percorso di educazione alimentare capace di raccontare l’Italia attraverso il sapore di salumi e insaccati. Magari le nuove etichette potrebbero essere un buon motivo per realizzare un simile progetto. Al momento solo un sogno.

Giornalista professionista, laureato in medicina veterinaria, già direttore responsabile di riviste dedicate alla zootecnia e redattore capo di periodici del settore agricolo, ha ricoperto incarichi di coordinamento in imprese editoriali. Autore di libri sull'allevamento degli animali, è impegnato nella divulgazione di temi tecnici, politici ed economici di interesse per il settore zootecnico.