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Oltre la sostenibilità della carne

La sostenibilità è un concetto vasto e a tratti complesso, che per essere valutato correttamente non deve scadere in semplificazioni che potrebbero portare ad errati calcoli ed interpretazioni.

La soglia che la scienza ritiene accettabile e sufficiente per considerare l’umanità nello “spazio di sviluppo sostenibile” è quella di un uso delle risorse ad un’impronta ecologica di massimo 2,3 ettari globali pro-capite. L’impronta ecologica tiene conto delle richieste dell’umanità sulla biosfera confrontando i consumi con la capacità di rigenerazione della Terra, o meglio la biocapacità. Questo confronto viene effettuato attraverso il calcolo dell’area, misurata in ettari globali, necessaria per produrre le risorse che le persone consumano, l’area occupata dalle infrastrutture e l’area della foresta richiesta per sequestrare anidride carbonica non assorbita dall’oceano.

È importante che quando si parla di #sostenibilità di un prodotto siano chiaramente descritte le #variabili utilizzate, categorie di #impatto e sistema considerati. Condividi il Tweet

Seppure l’impronta ecologica sia accettata come il sistema più adatto per valutare lo stato di avanzamento verso lo sviluppo sostenibile, non è l’unico parametro. Ne esistono davvero molti, per questo è importante che quando si parla di sostenibilità di un prodotto siano chiaramente descritte le variabili utilizzate, categorie di impatto e sistema considerati.

Giusto per fare un esempio, non basta (ed è scientificamente scorretto) dire che la bicicletta è un mezzo più sostenibile dell’auto. Come in tutti i fenomeni osservati (scientifici e non) il sistema va relativizzato: è più sostenibile utilizzare una bicicletta per raggiungere l’Australia da Milano? Forse lo rimane dal punto di vista ambientale, ma non lo è dal punto di vista economico e sociale: quanti mesi richiede l’impresa? Quali sono i costi in materia di salute e quali quelli economici (allontanamento dal lavoro, spese di approvvigionamento, costi di pernotto).

E ancora, la sostenibilità classifica gli impatti ambientali in più categorie. Ne elenco alcune a titolo esemplificativo, ma non esaustivo: riscaldamento globale (misurato in emissioni di anidride carbonica equivalente), impronta idrica (misura come scarsità idrica e degradazione della qualità idrica), uso di terra, eutrofizzazione (e cioè l’aumento della concentrazione delle sostanze nutritive in ambienti acquatici), la tossicità per l’uomo e l’utilizzo del territorio. Si tratta di impatti che devono essere bilanciati fra loro: non è detto che per esempio una buona pratica agricola sia in grado di mitigare complessivamente tutti gli impatti, potrebbe anche solo risultare benefica per il clima, ma peggiorativa per un’altra categoria.

Tutto questo rende l’idea di quanto sia complesso il concetto di sostenibilità, quali siano i rischi distortivi che semplificarlo comporta e che l’aggettivo “sostenibile” va sempre contestualizzato, ancor più quando si parla di produzioni primarie, come quelle del settore zootecnico ed agroalimentare in generale.

L’aggettivo #sostenibile va sempre contestualizzato, ancor più quando si parla di #ProduzioniPrimarie, come quelle del #SettoreZootecnico ed #agroalimentare in generale. Condividi il Tweet

Nel caso della sostenibilità delle carni, ad esempio, molti autori propongono – per i Paesi sviluppati, dove l’accesso al cibo è garantito nella maggior parte dei casi – uno slittamento dei consumi con spesso una riduzione, e non eliminazione, del consumo di carne pro-capite. Anche qui, è necessario bilanciare gli impatti e considerare tutti gli aspetti della sostenibilità (e non solo quelli ambientali – da soli già piuttosto complessi): una corretta nutrizione e il mantenimento di un buono stato di salute, primo fra tutti il principio di una sana e corretta alimentazione, suggeriscono un moderato consumo di carne. Un esempio? Abbiamo già discusso in un altro articolo l’importanza della dieta onnivora in gravidanza e accennato al mantenimento di adeguati consumi di proteine e grassi di origine animale in età pediatrica.

Relativizzare il concetto della sostenibilità al sistema in cui esso si inserisce è importante anche per una questione di responsabilità: non solo quella del produttore, ma anche quella del consumatore. Un articolo recentemente pubblicato su Trends in Food Science & Technology identifica sei trasformazioni che possono spingere il settore agroalimentare verso una maggiore sostenibilità, e in questi non è indifferente il contributo del consumatore:

1) un passaggio a alimenti e diete più sostenibili;

2) variare gli alimenti;

3) ridurre gli sprechi alimentari;

4) potenziare la circolarità del sistema alimentare (ivi compreso, contribuire alla raccolta differenziata);

5) definire per sé e per la propria famiglia le priorità del benessere alimentare sulla base delle linee guida di una sana e corretta alimentazione;

6) far fronte agli effetti dei cambiamenti climatici, quando necessario, anche adattandosi.

Relativizzare il concetto di #sostenibilità al sistema in cui esso si inserisce è importante anche per una questione di #responsabilità: non solo quella del #produttore, ma anche quella del #consumatore. Condividi il Tweet

Sono queste azioni che mettono il consumatore al centro dello sviluppo sostenibile e gli assegnano il compito di essere attivo e responsabile, e non quello solo quello di chiedere che siano aziende e enti pubblici a privati a garantire la conversione green. È questo il modo di guardare oltre la sostenibilità, senza cadere in tranelli e semplificazioni che, come abbiamo detto, se mal interpretati possono risultare fuorvianti.

Agenda 2030, con il suo dodicesimo obiettivo per lo sviluppo sostenibile, sottolinea il valore dei consumi sostenibili, assieme alle produzioni e le sei trasformazioni accennate possono rappresentare una prima roadmap. A queste indicazioni si aggiungono gli ultimi indirizzi di Agroscope, ente di ricerca svizzero che rivela un fatto molto importante: eliminare tutti gli sprechi, senza modificare le attuali abitudini alimentari, ridurrebbe l’impatto ambientale del cibo del 61%.

Eliminare tutti gli #sprechi, senza modificare le attuali #AbitudiniAlimentari, ridurrebbe l'impatto ambientale del #cibo del 61%. Condividi il Tweet

Ad oggi non esiste una semplice definizione di sviluppo sostenibile per guidare i consumatori, ma anche produttori e politici nella risoluzione delle sfide che la salvaguardia dell’ambiente, dell’economia e della società pongono a livello globale. Richiamando però la definizione originale di sviluppo sostenibile utilizzata nel Rapporto Brundtland, vale la pena suggerire un metodo di valutazione per determinare se si è in grado – a livello personale, famigliare, ma anche politico – di soddisfare i valori soglia di quattro dimensioni primarie: salvaguardare la sostenibilità ecologica a lungo termine, soddisfare le esigenze di base e promuovere integrazione ed equità intergenerazionale, anche con le nostre scelte alimentari.

Come ricercatrice presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, è coordinatrice tecnico e funzionale di progetti sulla sostenibilità alimentare e la loro attuazione lungo l'intera filiera alimentare. Prima di proseguire i suoi studi di specializzazione in gestione del sistema agroalimentare presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, si è laureata in Dietistica all'Università degli Studi di Milano e ha lavorato come nutrizionista. È coinvolta in progetti volti a promuovere un'adeguata istruzione, apprendimento e comunicazione su temi della sostenibilità nella catena alimentare.