Carne in provetta? No grazie
Credete davvero che la carne in provetta, creata quindi artificialmente in laboratorio, sia più sostenibile per l’ambiente e più indicata per una buona salute? Forse è il caso di calmare gli entusiasmi (più di Wall Street che non dei consumatori) e approfondire un po’ l’argomento.
Prendi un organismo unicellulare, ad esempio un batterio, un substrato sul quale farlo crescere e moltiplicarsi, come alcuni idrocarburi derivati dal petrolio. A fine ciclo raccogli il tutto, unisci aromi naturali, o di sintesi, un aggregante per dare la giusta consistenza e il gioco è fatto. La tua finta “bistecca” è pronta.
Non è fantascienza, è storia. Se ne parlava nel secolo scorso, intorno agli anni sessanta, quando già ci si interrogava su come dare da mangiare a una popolazione mondiale in crescita. Poi quei progetti vennero abbandonati. Problemi di carattere tecnologico e qualche dubbio salutistico convinsero gli scienziati ad abbandonare le ricerche sulle “single cell protein”, ribattezzate in Italia come “proteine da organismi unicellulari”.
Oggi si inizia daccapo, e come allora si rincorrono sui giornali le notizie che danno per certo il prossimo arrivo della “bistecca fatta in laboratorio”.
Certo, le tecnologie nel frattempo sono migliorate e così pure le conoscenze biologiche, rendendo il percorso più fattibile. E invece dei batteri si possono utilizzare cellule muscolari. Il progetto di una carne prodotta senza animali ha così trovato estimatori con grandi disponibilità economiche, che non hanno lesinato sostegni alle ricerche, proseguite alacremente.
E ora il “rischio” di trovare nel piatto una bistecca “artificiale” si fa più concreto. È di questi giorni la conferma che la FDA (Federal Drug administration, branca del dipartimento della Salute statunitense) si appresta a esaminare questi prodotti in vista di una loro entrata in commercio, data per certa da qui a un paio di anni.
Perché tanto interesse verso la carne prodotta in laboratorio? Vediamone insieme alcune motivazioni.
Al primo posto sembra esserci la preoccupazione per la crescita della popolazione mondiale. Nel 2050 ci saranno più di nove miliardi di bocche da sfamare e ancor prima bisognerà fare i conti con l’aumentata richiesta di proteine animali nei Paesi dove lo sviluppo promette la sconfitta di una diffusa povertà. Accadrà ancora, come in passato, che il migliorato benessere delle popolazioni si tradurrà in una maggiore richiesta di carne.
Ma la bistecca fatta in laboratorio non sembra possedere le qualità necessarie a soddisfare questi bisogni. A iniziare dall’aspetto. Nella migliore delle ipotesi può assomigliare a una specie di hamburger.
Ma dovrebbe anche costare quanto un hamburger. Invece i costi sono elevati e anche ipotizzando grandi quantità, ciò che si otterrà difficilmente sarà un cibo per tutte le tasche.
Al secondo posto potrebbe esserci l’aspetto ambientale. Fra le cause dei cambiamenti climatici ci sarebbero gli allevamenti, in particolare di bovini. A loro si contesta l’emissione di metano in grandi quantità e di altri “sottoprodotti”. Vero, ma in misura assai inferiore a quella che si vuol far credere. A questo proposito può essere utile rileggere un articolo pubblicato proprio su Carni Sostenibili in cui si fa presente come i numeri che legano produzione di gas serra e allevamenti possano riservare alcune sorprese
Meglio sarebbe dunque non distogliere l’attenzione da altre attività dell’uomo, che in proposito hanno ben maggiori responsabilità. Fra queste anche la produzione della stessa carne sintetica. Il suo impatto sull’ambiente, conferma una ricerca dell’università di Oxford, potrebbe avere conseguenze peggiori di quelle degli allevamenti che andrebbe a sostituire, soprattutto in termini di emissioni di CO2, dall’effetto serra meno potente ma molto più duraturo di quello del metano.
Al terzo posto, pur sapendo che per alcuni è argomento prioritario, le mutate sensibilità nei confronti degli animali. Indiscutibili convinzioni etiche possono indurre a rinunciare alla carne. La carne sintetica può essere una risposta? Vediamo. Partiamo dalla “materia prima”: una cellula muscolare alimentata con nutrienti complessi di origine animale. Per ottenerli, anche in questo caso, occorre sacrificare un animale “donatore”. Il principio etico, dunque, non viene soddisfatto. E certo non potrà trovare il consenso di vegani, talmente convinti nelle proprie scelte da rifiutare bevande “contaminate” da presenze di origine animale. Il vino ne è un esempio.
A dispetto di queste considerazioni, è facile prevedere che il progetto carne sintetica continuerà il suo cammino. E otterrà, con molta probabilità, il via libera delle autorità sanitarie statunitensi. Con altrettanta probabilità arriverà anche da noi, annoverato e accettato fra i nuovi cibi (novel food).
Avrà successo? Non molto, almeno stando alle anticipazioni del rapporto CoBank del dicembre 2017. Di qui al 2030 il consumo di carne (vera) aumenterà del 48%, ma a questa crescita non parteciperà la carne sintetica. Troppe le resistenze, anche psicologiche, da parte del consumatore. Non resta allora che affidarci agli allevamenti tradizionali. Meglio se confinati, come la maggior parte di quelli italiani. Più efficienti, più sostenibili e più sicuri.