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“Le Vacche Rosse” per il miglior Parmigiano Reggiano

Erano 200mila e si sono ridotte a solo 450 unità. Ma oggi, per fortuna, stanno tornando: sono le “Vacche rosse“, razza bovina reggiana già presente nel 1200, alle origini del Parmigiano Reggiano. Che, per essere proprio “super”, ha bisogno dell’aiuto di questi bellissimi animali. Ne parla in un interessante articolo Roberto Giovannini su La Stampa – Tuttogreen.

“Vacche Rosse”, quando il Parmigiano Reggiano diventa super

La proporzione dice tutto: se ogni anno si producono ben 3,2 milioni di forme di Parmigiano-Reggiano «normale», di quello con il marchio del «Consorzio Vacche Rosse» se ne fanno soltanto 15mila. Chi lo ha provato dice che il Parmigiano Reggiano «le Vacche Rosse» è buonissimo. Merito – oltre che di una stagionatura a ventiquattro e non dodici mesi – dello speciale latte prodotto dalle mucche color rosso della razza bovina «reggiana».

Le «rosse» della Razza bovina Reggiana erano presenti già nel 1200, quando i primi monaci benedettini dettero vita alla tradizione del Parmigiano Reggiano. In realtà soltanto dopo la seconda guerra mondiale, dicono gli esperti, gli allevatori iniziarono a sostituire questa razza con altre maggiormente produttive, come la Frisona e la Bruna Alpina. E così si cominciò a scendere dagli oltre 200.000 capi degli anni ’50, fino al minimo storico del 1981, con sole 450 «vacche rosse». Poi, la ripresa, grazie proprio al formaggio: e adesso i bovini di Razza Reggiana, quasi tutti concentrati nella provincia di Reggio Emilia, sono circa 3000. Come detto, producono meno latte – circa il 30% in meno – rispetto alle più diffuse «pezzate», ma sono più longeve e più «rustiche», prediligendo un’alimentazione di erba rispetto ai mangimi di cereali.

È molto rigido il disciplinare del Consorzio Vacche Rosse, cui aderiscono una quarantina di aziende: ad esempio, l’erba, quando la stagione lo permette, deve essere verde e fresca, quindi appena colta, e coltivata per il 100% in azienda. Ancora, bisogna utilizzare il latte della mungitura serale scremato; occorre la «spinatura» manuale, cioè la rottura della cagliata fatta manualmente dal casaro e non meccanicamente, che rende ogni forma unica; la lavorazione lenta attraverso tempi di cottura più lunghi che consentono di ottenere una cagliata migliore; la salatura in vasche ad affioramento tradizionale.

Il risultato: un latte che ha una maggiore resa nella caseificazione, che grazie ai suoi caratteristici enzimi dà vita a un formaggio che ha una miglior predisposizione alla lunga stagionatura, con una conseguente migliore digeribilità. Un parmigiano dal sapore particolare, più morbido e più dolce, che appunto può essere commercializzato esclusivamente dopo un minimo di 24 mesi di stagionatura. Un formaggio più raro, e dunque naturalmente più caro: rispetto ai circa 7,5 euro al chilo reso ai produttori del parmigiano tradizionale, quello di vacche rosse invece rende 15 euro al chilo. Al dettaglio i prezzi vanno dai 17,50 euro per il 24 mesi ai 23 euro per il «48 mesi».

Fonte: La Stampa

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